Aver conseguito la certificazione di insegnante di ricamo giapponese non è stato un punto di arrivo, come giustamente diceva la mia insegnante, ma una pietra miliare che, seppur importante, segna solo un punto intermedio del proprio cammino. E in effetti ogni volta che frequento un corso avanzato rimango affascinata da quanto, pur conoscendo tutte le tecniche base, ci sia ancora da imparare e da perfezionare. Non deve stupire quindi che, sebbene insegni, mi piaccia frequentare questi corsi, possibilmente uno o due all’anno: essere insegnante significa solo che sono un po’ più avanti lungo il cammino e che posso accompagnare nei primi passi chi si accinge ad iniziarlo.
Il corso speciale che ho frequentato lo scorso agosto è stato particolarmente interessante. Il tema è il ciclo della natura e della vita, con i fiori di loto colti nelle varie fasi del loro sviluppo: leggendo il ventaglio da destra verso sinistra, c’è il bocciolo parzialmente aperto, segnato dalla rugiada mattutina, seguito dai due loti in piena fioritura; nella foglia principale ci sono i primi segni di decadimento, con le parti rotonde danneggiate, mentre a sinistra la foglia è ormai completamente secca. Non per questo è meno bella, anzi, scintilla gentilmente con i tocchi d’oro e d’argento: è un passaggio importante del ciclo naturale che conduce al frutto con i semi che daranno vita a nuovi germogli, a sinistra. La pasta di carta, con le perine incastonate, ricordano il suolo da cui nascono le piante. Lo spunto del disegno è un dipinto del pittore giapponese Itō Jakuchū, realizzato sul retro del più famoso dipinto di galli sui pannelli delle porte scorrevoli del tempio di Saifuku.
Il corso si è svolto in contemporanea con kurenai kai e i membri giapponesi, ed è stato particolarmente bello ritrovarsi accomunati dall’amore per il ricamo al di là della barriera linguistica. A dirla tutta, vedere la qualità dei loro ricami mi ha lasciato un po’ senza parole ed è stata quindi anche l’occasione contemporaneamente per un salutare bagno di umiltà e per una iniezione di entusiasmo e di desiderio di migliorare (se mai ce ne fosse stato bisogno).
La prima cosa che mi ha colpito è la finezza dell’espressione: utilizzare la seta in spessori così sottili e con colori così delicati è stato un brusco cambio di rotta, soprattutto dopo aver appena terminato tutto il lavoro più pesante e vistoso dei leoni con peonie.
Ho avuto modo di fare pratica con la torsione particolare del boroyori, che ha dato consistenza e rilievo ai petali del loto bianco e alla foglia rinsecchita. E l’oro hagoromo è stato un po’ difficile da domare, ma mi ha incantato con la variabilità della sua brillantezza, che traspare in modo irregolare e molto più naturale rispetto agli altri fili metallizzati.
Nel loto rosa ho cercato di riprodurre l’effetto della polvere di foglia d’oro con piccoli puntini di filo metalizzato, e nel fiore appena sbocciato i minuscoli nodini hanno un lieve scintillio per l’argento mescolato alla seta bianca.
L’ultimo passo poi è stato fare particolare attenzione alla lieve distanza tra i punti nel ricamare gli ideogrammi: appena appena distanziati e lievemente accentuati nei punti di inizio e di fine, per suggerire l’effetto della pennellata e dell’inchiostro nella scrittura a mano.
Le foto non catturano del tutto il gentile scintillio dell’oro e dell’argento, ma di questo pezzo mi sono innamorata, e sarà il prossimo ad essere appeso nel mio piccolo studio, pronto a farmi compagnia nelle future ore di ricamo.