Kimono: Kyoto to Catwalk / 2

di | 3 Agosto 2024

Questo è il secondo articolo dedicato alla mostra Kimono: Kyoto to Catwalk, visitabile al V&A Dundee fino al 5 gennaio 2025. Se non lo avete ancora fatto, vi invito a leggere anche il primo articolo.

La mostra prosegue con esempi di influenze reciproche tra Giappone e Occidente, sia culturali che commerciali.

Gli scambi commerciali con gli olandesi sono antecedenti all’apertura forzata all’Occidente di metà Ottocento. La seta del primo uchikake venne tessuta in Francia intorno al 1750, per confezionare abiti maschili. Portata in Giappone, probabilmente come dono diplomatico, venne utilizzata per realizzare questo uchikake che si ritiene essere appartenuto alla moglie del daimyō della regione di Saga, zona con forti connessioni con il commercio olandese.

Gli Olandesi portavano anche le stoffe di cotone importate dall’India, che erano molto apprezzate e molto costose. Piccoli pezzi di queste stoffe venivano utilizzati per i contenitori del tabacco e delle pipe (nel pannello vicino al sotto-kimono). Le leggi suntuarie e le convenzioni sociali per l’abbigliamento proibivano l’utilizzo di queste stoffe per i kimono, quindi venivano utilizzate per aggiungere un tocco di colore e di ricercatezza al juban (il sotto-kimono).

Il bel kimono estivo indossato da Elizabeth Smith nel ritratto (esposto a fianco alla vetrina con i kimono) era stato originariamente realizzato per una donna di alto rango della elite militare. La fine del dominio dei samurai fece sì che gli abiti formali non venissero più utilizzati: i commercianti trovarono nuovi entusiasti acquirenti per il surplus di magazzino negli occidentali.

Mi è piaciuto particolarmente poter ammirare sia i particolari del kimono ricamato che il ritratto in cui era stato fedelmente riprodotto.

Liberty & Co. era specializzato in beni importati dall’Asia e diede un notevole impulso alla moda dell’utilizzo dei kimono, che apparivano lussuosi ed anticonformisti, oltre ad ispirare uno stile di abbigliamento libero dalla costrizione dei corsetti. Nel 1891 il V&A Museum acquistò dal negozio londinese l’elegante kimono con fantasia di onde e bambù.

Oltre ai kimono tradizionali, i commercianti giapponesi realizzarono capi destinati espressamente al mercato estero: Shiino Shobei aprì un negozio a Yokohama nel 1859 e, con il nome di S. Shobey (forse più facile da pronunciare per gli stranieri), esportò abiti in seta e accessori in Europa ed America. Lo stile della vestaglia è europeo, ma la seta trapuntata, il ricamo e le allacciature intrecciate sono di stile giapponese.

Anche il kimono color pesca fu realizzato in uno stile che sarebbe stato apprezzato dai clienti stranieri: il ricamo su larga scala e il tessuto di raso color pesca non sarebbero stati ugualmente apprezzati nel mercato interno.

Nel kimono blu, l’aggiunta di un pezzo di stoffa triangolare sulla parte posteriore contribuisce a farlo cadere come una gonna. Al posto di un obi, è chiuso da una cintura coordinata. Il ricamo, ricco e appariscente, scende dalle spalle e si dispiega lungo l’orlo, con una varietà di fiori e uccelli acquatici.

Concludo questa seconda parte con qualche dettaglio di questo uchikake che mi è piaciuto particolarmente: il motivo di falchi è tradizionalmente considerato mascolino, ma divenne una scelta abbastanza comune nel periodo Meiji. La parte inferiore delle maniche e del kimono è tinta in modo delicato con un motivo intricato di fiori di ciliegio e stoffe ondeggianti stese su supporti su cui sono appollaiati gli uccelli. Nella parte scura, invece, diversi falchi dall’aria minacciosa sono dettagliatamente ricamati.

Il filo di seta è utilizzato in diversi spessori e prevalentemente ritorto, i colori sono tenui ma la varietà di tecniche utilizzate contribuisce all’effetto realistico complessivo.

Con questa seconda parte siamo arrivati all’inizio del millenovecento… non manca molto alla conclusione del viaggio tra i kimono, ma è comunque abbastanza per meritarsi un ulteriore, ultimo articolo.