Questo è il terzo e ultimo articolo dedicato alla mostra Kimono: Kyoto to Catwalk, visitabile al V&A Dundee fino al 5 gennaio 2025. Se non lo avete ancora fatto, vi invito a leggere anche il primo e il secondo articolo.
Addentrandoci nel Novecento, i cambiamenti sono evidenti: le tinture chimiche consentono colori vivaci, i disegni escono dalla tradizione e prendono spunto dalla modernità e il ricamo passa decisamente in secondo piano.
Nel kimono per ragazza il paesaggio dai colori vivaci si distende sull’intera superficie: qualche tocco di ricamo qui e là contribuisce a dare tridimensionalità al disegno. In questi casi, mi piace osservare dove e come è stato utilizzato il ricamo, perché riesce ad essere sempre efficace e bilanciato. Anche sapere quando fermarsi, e non riempire ogni elemento con il ricamo, è una dote che va coltivata.
Il kimono da ragazzo risale al periodo di espansione aggressiva del Giappone nell’Asia: i motivi tradizionali da samurai sono sostituiti dalle più moderne navi da guerra ed aerei, un augurio di potenza per il ragazzo e per l’intera nazione.
Il kimono a rombi è stato donato a un membro della famiglia reale inglese dalla figlia dell’imperatore del Giappone intorno al 1960. Il crisantemo è il simbolo della famiglia imperiale e la paulonia del governo del Giappone: delineati con l’applicazione di foglia d’oro e ricamati con filati dorati, sono una decorazione appropriata per un dono diplomatico.
La galleria proseguiva con diversi esempi di abbigliamento della seconda metà del novecento, spesso accompagnati dalle foto delle persone che li indossarono in occasioni particolari: il matrimonio, la prima visita al tempio, o la cerimonia per il raggiungimento della maggiore età. Per queste occasioni, i motivi sono quelli tradizionali, sia per la formalità dell’evento che per i significati associati ai motivi decorativi: l’aquila, ad esempio, suggerisce forza e coraggio ed è quindi benaugurante per il bambino.
I kimono sono sempre abbelliti da ricami, ma sui kimono più recenti nutro forti dubbi sul fatto che fossero fatti a mano.
La sala finale era dedicata alla modernità e alle contaminazioni con la moda: molti designer si sono ispirati alla forma del kimono per le loro creazioni, destrutturandolo e reinventandolo in modi diversi, oppure inserendo alcuni frammenti di stoffe tradizionali in abiti che comunque hanno dei legami con la cultura giapponese. Tra i vari pezzi esposti, inoltre, anche il kimono, dal motivo delicato e femminile, indossato da Freddie Mercury nei momenti di relax a casa.
La chicca finale sono stati questa coppia di abiti: l’uchikake di inizio 1900, finemente ricamato, appartenuto alla designer americana L’Wren Scott, e il completo d’alta moda indossato dalla designer al British Fashion Awards nel 2013, chiaramente ispirato all’uchikake.
Seppure molto elegante e d’impatto, il ricamo del completo non regge il paragone con l’originale: ad una prima occhiata si notano i colori più brillanti, e il disegno sembra uguale, ma basta soffermarsi con lo sguardo per notare che petali e foglie sono disegnati più frettolosamente e in modo approssimativo, le sfumature di colore sono ridotte al minimo, e l’insieme risulta più rigido.
Nell’uchikake, invece, i fiori sembrano balzar fuori dalla stoffa, i petali dei crisantemi si dispiegano armoniosamente e il glicine sembra ondeggiare pigramente nella brezza. Le foglie sono sfumate ed estremamente realistiche. Tutto l’insieme trasmette una sensazione di naturalezza e di armonia che incantano.
Chiudere il reportage con questa immagine di particolare bellezza mi sembra appropriato, perché racchiude in sé sia le sensazioni positive che mi ha lasciato la mostra, sia il senso del ricamo, dove non contano le ore spese chine sul telaio, ma quello che riesce a trasmettere poi il risultato di tanto impegno.