Alla fine di agosto ho frequentato un corso molto interessante, tenuto congiuntamente dal Japanese Embroidery Center di Atlanta assieme ai professionisti di Kurenai Kai, in Giappone. Anche se ansiosa di ricamare questo nuovo pezzo, in cui dovrò curare molto l’espressione e la finezza del ricamo, mi sono trattenuta e ho preferito concentrarmi invece sui leoni con le peonie, a cui ho lavorato in modo molto discontinuo per un paio d’anni e che incombeva sulla mia coscienza. L’esperienza mi ha già dimostrato che non sono capace di lavorare a rotazione su più pezzi, e che preferisco, piuttosto che saltare da un telaio all’altro, concentrarmi su un pezzo alla volta e darmi il tempo di prendere la mano e anche di perfezionarla. Inoltre, avere troppi lavori avviati mi disturba, e non mi lascia la tranquillità d’animo necessaria per concentrarmi al meglio sul pezzo corrente.
Il desiderio di ricamare il nuovo pezzo, quindi, ha funzionato perfettamente da spinta motivazionale per terminare questi poveri leoni… Come avevo già accennato in passato, l’estetica di questo pezzo non mi ha mai entusiasmato, nonostante mio figlio mi abbia ripetutamente sgridato, ma ne riconosco l’indubbio valore tecnico: il lungo lavoro di posa dei filati metallizzati sopra imbottiture consistenti come quelle dei leoni, con la loro muscolatura sagomata, e delle rocce, mi ha sicuramente arricchito nella pratica di tecniche che sono sempre un po’ ostiche.
Particolarmente soddisfacente è stato il ricamo del ponte: il corrimano in primo piano è ricamato su una imbottitura di carta washi abbastanza spessa, per dargli un piccolo rilievo, mentre per il passaggio ho deciso di utilizzare due diversi colori d’oro per dare un po’ di luce al ponte e anche un po’ di risalto al leone in alto a destra.
Ho ricamato prima la parte sinistra color oro intenso, poi la parte destra in oro pallido, andando a riempire gli spazi lasciati precedentemente vuoti: la soddisfazione quando tutto ha combaciato è stata grande (e anche il sollievo!). I cambi di colore sono stati fatti in corrispondenza delle linee traversali del ponte, e quindi quasi completamente nascosti dal successivi katayori nero e oro.
La storia dei leoni è interessante, e spiega anche il perché del loro aspetto poco convenzionale. Le rappresentazioni di leoni in Cina e poi Giappone sono basate sui disegni indiani e assiri incorporati nell’iconografia buddista, dove vengono raffigurati come guardiani, ai piedi delle statue o all’ingresso dei templi. Poiché gli artisti giapponesi non avevano mai visto un leone dal vero, le loro rappresentazioni divennero via via più stilizzate. Il leone (shishi o karajishi – leone cinese) era un motivo molto popolare già dal periodo Momoyama ed Edo, utilizzato per decorare paraventi e porte in ricche dimore e castelli.
Spesso sono raffigurati in coppia, uno con la bocca aperta e l’altro con la bocca chiusa: il primo starebbe pronunciando la sillaba sacra ah e il secondo la sillaba um, prima e ultima dell’alfabeto sanscrito. L’unione dei due fonemi simboleggia la nascita e la morte, o l’universo e tutto ciò che include.
Sono posti agli ingressi perché hanno la funzione di guardiani: tengono lontane le forze maligne e spaventano i demoni. Per la loro natura giocherellona, sono spesso raffigurati mentre rincorrono farfalle o giocano con nastri, sono protettivi per indole e sono custodi dei bambini.
I leoni sono spesso abbinati alle peonie: il leone era considerato il più forte e il re di tutti gli animali, mentre le peonie erano viste come la regina di tutti i fiori, quindi entrambi erano simboli del lusso. Ma il leone, pur essendo il re degli animali, aveva paura di un piccolo insetto, un parassita che poteva entrare nella sua pelle e mangiarlo dall’interno. Fortunatamente questo insetto veniva ucciso dalla rugiada caduta dai fiori di peonia, per cui i karajishi si trovavano sempre a riposare su questi fiori. Anche loro, come tutti noi, hanno bisogno di un posto dove sentirsi al sicuro dai pericoli della vita.